Fake History: Ten Great Lies and How They Shaped the World

Fake History: Ten Great Lies and How They Shaped the World è un saggio di Otto English del 2021 edito da Welback Publishing.

Quarta di copertina di Fake History

In “Fake History: Ten Great Lies and How They Shaped the World”, Otto English ci porta in un viaggio attraverso la nebbia del tempo, esplorando una serie di temi storici che spesso vengono considerati come verità assolute, ma che in realtà nascondono miti e leggende. Queste storie, che agiscono come collante sociale, sono radicate nelle narrazioni familiari e si estendono a personaggi, eventi e fatti di portata più ampia.

Diviso in due parti, il libro si concentra inizialmente su temi anglocentrici – Churchill, la famiglia reale, la Gran Bretagna in guerra – nella seconda parte, English allarga il suo sguardo ad altri personaggi ed eventi storici internazionali (tra cui il mito di Lincoln, Napoleone e Gengis Khan.

Recensione di Fake History: Ten Great Lies and How They Shaped the World

Buone premesse…

Il libro inizia partendo da una premessa interessante: come umanità siamo legati alla narrativa leggendaria. L’essere umano rigetta l’idea di essere uno tra i tanti, uno “nella media”, per questa ragione si tende a lavorare molto sullo storytelling non solo come società ma anche a livello personale o familiare.

Più o meno tutti hanno una leggenda che si tramanda di generazione in generazione: c’è chi ha la trisavola strega, chi ha il nonno salvato da una pallottola letale da una moneta portafortuna, c’è chi ha l’avo imperatore… Insomma, l’elevazione della propria storia non è una cosa nuova.

E se questo accade a livello di nucleo familiare, figuriamoci con i grandi personaggi della storia!

Avanti, quanti sono convinti del fatto che Houdini sia morto durante l’esecuzione di uno dei suoi trucchi di magia? Spoiler: morì di peritonite, probabilmente causata dalla rottura dell’appendice in seguito a una scazzottata finita male.

Ecco, questo libro ha come idea quella di scardinare delle narrative tradizionalmente date per assodate su grandi figure storiche (prevalentemente politiche) e fatti.

…cattiva esecuzione

Spesso e volentieri l’autore pare voglia calarti la sua conoscenza dall’alto. Pecca spesso di superbia offrendo al lettore fatti e considerazioni banali che chiunque abbia studiato storia alle superiori conosce.

Ad esempio “Lincoln voleva l’abolizione della schiavitù ma aveva gli schiavi” – ovvio, le classi alte all’epoca avevano di base gli schiavi, erano inclusi nel pacchetto, senza contare che i parenti della moglie erano proprio mercanti di schiavi. È una considerazione superficiale che nulla toglie al lavoro fatto da Lincoln e che lo rende solo un normale uomo ricco dell’epoca, solo un po’ più progressista.

E se questo non fosse già abbastanza per nutrire dell’astio nei confronti dell’autore, Otto English cala l’asso di bastoni e inizia a fare paragoni a caso, in un tentativo di portare il relativismo all’estremo. La sua teoria di base, infatti, è che siamo talmente impegnati a giudicare gli altri che non ci accorgiamo di essere identici a ciò che tanto aborriamo.

L’esempio più calzante di paragoni fatti senza criterio è il parallelismo tra le statue di Pyongyang (capitale della Corea del Nord) e Washington D.C. (capitale USA).

Any trip to fascist-chic Washington is not complete without a visit to Lincoln’s memorial, featuring a colossal statue of the 16th American presidente, housed in a vast Neoclassical temple that would not have looked out of place in Soviet Russia or Hitler’s Germania. There may be many, many nmore tributes to the Kims in North Korea, but in the US, there are 200 statues to Lincoln alone and dozens to Washington, General Grant and others. These monuments have become sacred. Question them and you will be accused of “rewriting” or “erasing” history.

La sua teoria è che critichiamo tanto il buon Kim e non ci rendiamo conto che i monumenti di Washington sono praticamente la stessa cosa.

Ma dobbiamo proprio dirlo che nella sola Pyongyang ci sono 40.000 statue della stirpe Kim? E dobbiamo proprio ricordare che le statue sono state commissionate dai Kim stessi e non dalla popolazione nordcoreana? E dobbiamo sottolineare che i cittadini (e anche turisti) sono obbligati a portare fiori alle statue, piangere e venerare i simulacri dei Kim come fossero divinità pena la detenzione in campi di concentramento o morte?

Siamo proprio sicuri che il Grande monumento Mansudae abbia la stessa valenza del Lincoln Memorial solo con altri volti?

Chiaramente il paragone stride, così come stridono altre considerazioni fatte da Otto English in questo saggio che parte da premesse interessanti e finisce per essere semplicemente un esercizio di stile in cui l’autore cerca di portare avanti la propria agenda morale e non di fornire informazioni interessanti al lettore.

Voto: 🌕🌕


Altre recensioni di Fake History dal sito Waterstones

Disappointing. Whilst a couple of chapters were quite interesting, most of the stuff in this book revealed nothing new. On several topics he simply makes out that the subject is “fake” when anyone who has even a cursory knowledge of the subject will know he’s making it up.


Turns out the 10 ‘lies of history’aren’t ‘lies’ after all. Just different interpretations from the author’s interpretations. And that won’t do at all. Oh no..
If you can past the interminable turgid and self obsessed ‘intro’, you’re doing well. And it prepares you for whats to come. The author has the weirdest habit of revealing the most simple common facts as though they represent some wonderous new piece of jnformation to the reader. This happens on almost every paragraph, but it is also the meta narrative. Each of the 10 ‘lies turn out to be damp squids.


Theres nothing here that someone who has finished secondary school would find new, revelationary, or even interesting. Supercilious doesn’t begin to describe the writer’s tone. He pretends to recognize ordinary people’s role in history, while simultaneously he plainly views most people in general, probably including the readership, as the drudge, the great uneducated unwashed masses. Well I’m sorry, but we’re not.

Pubblicato da Giulia Castagna

Giulia, content manager e writer, lettrice dall'età dei primi dada e baba.