Ma gli androidi sognano pecore elettriche? La risposta di Philip Dick

Ma gli androidi sognano pecore elettriche recensione

Cosa si prova ad avere un bambino? Cosa si prova a nascere? Noi non nasciamo, noi non cresciamo. Invece di morire per una malattia, o di vecchiaia, noi ci esauriamo, come le formiche. Ecco, come le formiche. Ecco cosa siamo.
Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Philip K. Dick

Ma gli androidi sognano pecore elettriche? è un romanzo scritto da Philip K. Dick (titolo originale: Do Androids Dream of Electric Sheep?) pubblicato per la prima volta nel 1968 anche se, per averlo in Italia, dobbiamo aspettare fino al 1971 (e lo conosciamo con il titolo Il cacciatore di androidi). Oggi è pubblicato da Fanucci Editore nella traduzione di Riccardo Duranti.

Indice

Ma gli androidi sognano pecore elettriche? La trama

Siamo nel 1992 al termine della Guerra Mondiale. Il genere umano non è uscito invitto da questo conflitto e, con lui, tantissime specie animali e vegetali sono state condannate all’estinzione. Questo ha portato ad un allontanamento di massa dal pianeta Terra; quei pochi che hanno scelto di restare convivono con replicanti.

Tutto ciò che una volta era vivo, infatti, viene riprodotto in forma meccanica. Anche l’essere umano. I replicanti – così vengono chiamati i robot umanoidi – sono banditi, vietati. Ed è qui entra in gioco Rick, il nostro protagonista e cacciatore di taglie.

In un’irriconoscibile San Francisco deserta, Rick ha il compito di ritirare i Nexus 6. Si tratta di un particolare tipo di androide in grado di mescolarsi alla perfezione con il genere umano. Ce la farà il nostro eroe a ritirare i sei robot umanoidi ancora in circolazione in città? Quale sarà lo scotto da pagare per portare a termine la missione?

In bilico tra la vita umana e la vita androide: la recensione

Iniziamo col dire che questa è stata una lettura sui generis infatti, per la prima volta, mi sono approcciata al mondo degli audiolibri approfittando della free trial di Audible per trenta giorni.

Long story short: non sono fatta per gli audiolibri. All’inizio perdevo costantemente l’attenzione poi, con il passare delle ore di ascolto, ho superato questo problema ma ho incontrato l’ostacolo del narratore uomo che faceva la vocina flebile per interpretare la donna. E lì ho capito: il libro me lo devo leggere per conto mio.

Lasciando alle spalle questa disavventura – se così si può chiamare – torniamo al libro. La narrazione è piuttosto lineare, non ci sono né flashback flashforward (analessi e prolessi per i nostri amici italofoni ortodossi).

Il romanzo è assolutamente scorrevole, la traduzione del buon Duranti è chiara, semplice e asciutta. Non l’ho letto in inglese ma posso tranquillamente ipotizzare che lo stile di Philip K. Dick sia essenziale.

La prima metà serve a dare principalmente un contesto al lettore: ti racconta la situazione post bellica, ti spiega perché Rick ha il compito di distruggere dei robot androidi e ti parla della sua ossessione nei confronti di una pecora. Il protagonista della nostra storia, infatti, possiede una pecora elettrica ma, il suo sogno nel cassetto, è quello di acquistarne una vera.

Da questa ossessione nasce il titolo: Ma gli androidi sognano pecore elettriche? E da questo titolo scaturisce una riflessione molto più profonda che costituisce la spina dorsale del romanzo: l’ambiguità tra uomo e androide.

In questo mondo distopico troviamo uomini che regolano il proprio umore attraverso una macchina, come se fosse una specie di telecomando per cambiare come ci si sente, diventando degli esseri privi di anima; dall’altro lato troviamo degli androidi perfettamente mimetizzati nel genere umano se non fosse che mancano di empatia.

Il confine tra uomo e macchina è blando, confuso: durante la caccia siamo portati più volte a chiederci ma siamo sicuri che questo sia un uomo (o, viceversa, un androide)? E tutto questo, naturalmente, non può che portarci a pensare al progresso, alla scienza, al mondo dell’iperconnessione e dalla presenza sempre più forte della tecnologia nelle nostre vite. E poi pensiamo anche a Sophia e ai primi esperimenti di robot umanoidi con intelligenza artificiale: fino a dove ci si può spingere? Dove sta il limite tra uomo e macchina?

Ma soprattutto, se gli umani come Rick sognano delle pecore vive, gli androidi sognano pecore elettriche?

Ma gli androidi sognano pecore elettriche? – Wordcloud

Ma gli androidi sognano pecore elettriche? vs Blade Runner

Quando dicevo alla gente sai, sto leggendo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? le persone mi guardavano con la faccia stranita per poi illuminarsi al mio il libro da cui è stato tratto Blade Runner. Questo film cult è ben noto ma non tutti sanno che si tratta di un adattamento cinematografico di un’opera nata su carta.

Mi è sembrato carino provare a catturare le differenze tra libro e film in modo molto schematico. Ecco un elenco delle principali:

  • Il film è ambientato a Los Angeles, il romanzo a San Francisco
  • Il nome dell’azienda che produce i robot androidi nel film è Tyrell Corporation, nel libro è Rosen Industries
  • Nel romanzo compare un personaggio – J.R. Isidore – che nel film è totalmente assente
  • La spogliarellista Zhora presente nel film, in realtà, nel romanzo è una cantante d’opera e non si chiama Zhora bensì Luba Luft
  • Nel film Rick ha una vera e propria relazione con un’androide, nel libro è solo una sveltina!
  • In generale, nel film ci sono molte più scene d’azione rispetto al libro
  • Il celebre monologo “Ho visto cose che voi umani…” non è presente nel libro, bensì è un’invenzione degli sceneggiatori di Blade Runner.

L’autore: Philip K. Dick

Philip K. Dick – dove la K sta per Kindred – è uno scrittore americano nato nel 1928 a Chicago (Illinois, USA). Dick ebbe una vita piuttosto tormentata sin dall’infanzia segnata dalla perdita della sorella gemella, una morte da cui non si riprese mai dal punto di vista psicologico tanto che iniziò già da adolescente ad andare dallo psichiatra.

La sua cura psichiatrica – si pensava soffrisse di schizofrenia – lo porta ad avvicinarsi al mondo delle anfetamine. Da lì, il passo verso la completa dipendenza da droghe è molto breve. Questo consumo eccessivo di sostanze stupefacenti, però, lo ho portato ad essere uno scrittore molto prolifico: leggenda narra che riuscisse a battere 120 parole al minuto sulla macchina da scrivere (per darti un’idea, era tipo il doppio rispetto alla media!).

Dopo quattro matrimoni falliti, all’alba dell’uscita di Blade Runner nel 1982, Philip K. Dick muore per le conseguenze di un infarto. Ora riposa in Colorado accanto alla sua gemella che tanto lo aveva ossessionato in vita.

Cólto in Castagna: la mia copertina

Per la mia copertina ho deciso di darmi alla tecnologia: una pecora elettrica si staglia su uno sfondo di circuiti in una visione onirico-fantascientifica. Ho cercato di rappresentare la doppietta vita-androide attraverso un animale metà reale e metà cyborg (con delle vibes da Terminator).

Curiosità: in un certo punto del romanzo, uno dei personaggi va in soccorso ad un gatto morente. Lo riporta in ambulatorio convinto che sia un animale elettrico e, invece, si scopre che era vivo in carne ed ossa! Gli umani in questo mondo non sono più in grado di riconoscere il vero dal falso: questo ci dà un’idea di quanto lo sviluppo tecnologico sia avanzato.


Frasi e citazioni da Ma gli androidi sognano pecore elettriche?

Gli androidi dotati della nuova unità Nexus-6 erano più evoluti – se si considerava la questione da un punto di vista generale, distaccato e pragmatico – di una fetta consistente – ma inferiore – del genere umano. 


Dovunque andrai, ti si richiederà di fare qualcosa di sbagliato. È la condizione fondamentale della vita essere costretti a far violenza alla propria personalità. Prima o poi, tutte le creature viventi devono farlo. È l’ombra estrema, il difetto della creazione; è la maledizione che si compie, la maledizione che si nutre della vita. In tutto l’universo.


Il quadro mostrava una creatura calva e angosciata, con la testa che pareva una pera rovesciata, le mani premute sulle orecchie e la bocca aperta in un immenso urlo muto. Onde contorte del tormento della creatura, echi del suo grido, fluttuavano nell’aria che la circondava; l’uomo, o la donna, qualunque cosa fosse, aveva finito per esser contenuta nel proprio urlo. Si era coperta le orecchie proprio per non sentirlo. La creatura era in piedi su un ponte e non c’era nessun altro presente; urlava nell’isolamento più totale. Tagliata fuori dal suo sfogo – oppure, nonostante il suo sfogo.
(…)
“Secondo me” disse Phil Resch “è così che deve sentirsi un droide”.

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Pubblicato da Giulia Castagna

Giulia, content manager e writer, lettrice dall'età dei primi dada e baba.